Rocca di Neto

Rocca di Neto, con il suo paesaggio caratterizzato inizialmente da una fascia tutta gobbe e colline cui seguono, dolcemente, le pendici che collegano le colline al corso del Neto prettamente pianeggiante, si pone alle spalle della fascia costiera tra Cirò Marina e Crotone. Con la sua forma triangolare, con l’ipotenusa ortogonale rivolta verso l’incantevole, leggendario e mitico mare Ionio ed il vertice orientato a Nord.

Il Comune, nella fascia collinare Presilana, presenta una rete viaria alquanto sufficiente alle varie esigenze della comunità. Infatti, sono facilmente raggiungibili, in breve tempo, l’azzurro e cristallino mare e la secolare e verdeggiante montagna della Sila, per mezzo delle due arterie: la SS 107, denominata “Silano-Crotonese”, che è la via di comunicazione più importante che percorre tutta la la vallata del Neto e congiunge due grosse città, quali Crotone e Cosenza, riconfermando la vallata, come nell’antichità, una naturale via di transito; la SS 106 grazie alla quale, a 96 Km da Rocca di Neto, si può agevolmente raggiungere Lamezia Terme, importante sia come nodo ferroviario sia come stazione aeroportuale.

Qualche numero

Altitudine
165m s.l.m
Superficie
44,43 km²
Abitanti
5.484 (31/08/2020)
Densità
122,06 ab/km²
L’origine di Rocca di Neto è lontana,  risale infatti all’epoca dell’immigrazione greca in Calabria.
Ed è proprio agli Achei, probabilmente richiamati fra l’VIII e il VII secolo a.C. dalla fertilità delle valli del Neto e del Vitravo, che si fa risalire l’origine dell’odierna Rocca di Neto. Una leggenda, raccolta da Strabone nel libro VI, ci narra che alcuni Achei, di ritorno dalla guerra di Troia, errando qua e là, furono spinti lungo la bassa valle del Neto e vi sbarcarono per esplorarne i posti. Le donne troiane, che navigavano con loro, accortesi delle navi vuote di uomini, le diedero alle fiamme perché stanche della navigazione ed attratte dalla bontà dei luoghi.

La vallata del Neto rappresentava per i Greci una terra promessa e vi fondarono vari nuclei abitativi ricchi di campi fertili, legname, materie prime, acqua abbondante, caccia e pesca assicurate. Presto arrivarono altri della stessa stirpe che, seguendo il loro esempio, fondarono numerose colonie alle quali diedero per lo più nomi identici a quelli dei fiumi (il Fiume Neto derivò il nome proprio dall’incendio delle navi). Secondo Apollodoro ed altri autori, dopo la distruzione di Troia, le figlie di Laomedonte, sorelle di Priamo, Etilla, Astioche e Medesicasta, giunsero con le altre prigioniere in questo posto d’Italia e per non essere costrette a subire la schiavitù in Grecia, diedero fuoco alle navi. Per questa ragione il fiume fu detto Neto e le donne Nauprestidi. I Greci, che erano con loro, bruciate le navi, si stabilirono qui.
La Rocca di Neto antica, allora chiamata Casale di Terrate, sorse sulle alture di Cupone e di Tanzanovella e si trovava a 39° ed 11’ di latitudine boreale, a 34° e 52’ di longitudine orientale dal meridiano del ferro; stava poi a greco da Santa Severina, a libeccio da Strongoli, a maestro da Crotone. Dall’anno 71 a.C., rimase sotto il dominio romano alle dipendenze di Petelia. Le terre di Casale di Terrate, come quelle degli altri abitati della valle del Neto, furono assegnate agli aristocratici romani, che estesero l’economia del latifondo, basata sull’integrazione tra la coltura estensiva dei cereali e la transumanza di mandrie e greggi tra la marina e la Sila, attraverso le valli del Neto e del Tacina.

Rocca di Neto è stata poi soggiogata e dominata, nel corso dei secoli, da popoli i Bizantini i Normanni e gli Orientali, che hanno arricchito ed impregnato, con elementi della loro cultura, le tradizioni della nostra terra. I Normanni ripresero anche i contatti con la Chiesa di Roma e, gradualmente, sostituirono il rito greco con quello latino; costituirono nuove diocesi e diedero impulso alla fondazione di abbazie degli ordini latini. La ripresa latina avvenne per opera dei Monaci Benedettini: si distinguevano, tra questi, una Congregazione florense, fondata dall’Abate Gioacchino da Fiore, e l’Ordine Cistercense col celebre Monastero Silano della Sambucina di Luzzi che avanzava dei grandi possedimenti, attraverso le due vallate del Tacina e del Neto, verso i pascoli silani. Intorno al 1140, i Cistercensi fondarono, ovunque, abbazie cui furono riconosciuti privilegi, prebende e poteri anche feudali.
A Rocca di Neto esisteva il Monastero Cistercense di “Santa Maria delle Terrate”, sorto nel 1178, filiale della Sambucina, il quale, all’inizio del secolo XIII, passerà alle dipendenze dell’abbazia di S. Angelo in Frigillo. Santa Maria delle Terrate iniziò una fase di rinascita del Casale di Terrate, determinandone la ripresa economica. L’abbazia aveva, infatti, la funzione di promuovere la cultura e di favorire anche le attività agricole dell’area dove si era insediata. Compito cui i monaci cistercensi assolsero egregiamente per alcuni secoli, perché modellarono il paesaggio agrario di Casale di Terrate coltivando i vigneti, gli alberi da frutto e, attorno agli abitati, gli orti.

La storia di Rocca di Neto è contrassegnata da una continua successione di feudatari laici ed ecclesiastici che, per accrescere sempre di più i loro introiti, detenevano nell’asservimento il popolo, usurpandone i diritti fondamentali e determinandone la decadenza sociale ed economica.
Nel lontano 1445 il territorio di Rocca di Neto, che risultava parte del Principato di Rossano, viene concesso dal Re Ferdinando d’Aragona al genero Marino di Marzano, il quale, tra il 1460 ed il 1464, in seguito all’esproprio del feudo a favore di Giovanni Simonetta di Caccuri, diede inizio a tutta una serie di vendette verso questa università, scagliandosi contro gli ignari cittadini ai quali inflisse morte e distruzione.
Quando ormai l’infelice popolo si era assoggettato ad uno stato di totale strazio e di rassegnazione, il Re di Napoli, Ferdinando d’Aragona, per ripagare la sventurata popolazione di quanto aveva subito, le concesse i seguenti sette privilegi: il perdono per i reati commessi durante i disordini; la promessa, presto disattesa, di non essere più data in feudo ad altri signori; la conferma di tutte le grazie e privilegi ottenuti per qualsiasi genere; l’esenzione delle tasse per dieci anni; il pagamento delle sole collette generali dopo il termine di scadenza dell’esenzione totale; il divieto di pascolo, nelle terre di quest’università, agli uomini di Casabona; l’uso gratuito dei pascoli del demanio.
Queste concessioni, che ponevano fine ai disagi di questi sventurati, il popolo li attribuì ad una illuminazione, ad una ispirazione miracolosa data al Re dalla Madonna. Fu allora che i rocchitani vollero ritrarsi questa Vergine Divina e Miracolosa, affidandone il quanto mai accetto incarico ad un anonimo artista del crotonese o del gimiglianese.
Soffermandosi sul significato del titolo “Setteporte”, comunemente, quando si riceve un qualcosa che è stato supplicato in una circostanza di particolare sofferenza, si suole dire: “La Madonna mi ha aperto una porta”. Nel caso specifico non fu ad una sola persona, ma ad un’intera popolazione tormentata che la Madonna aprì non una ma sette porte. E’ proprio per la protezione, concessa in quella circostanza sugli abitanti del luogo, che la Vergine di Setteporte fu proclamata Protettrice di Rocca di Neto.

Coll’affermarsi del dominio spagnolo nel Regno di Napoli, si dovette provvedere a sistemare decorosamente i fedeli servitori dei Re di Spagna. A tale fine, nel 1505 in remuneratione, la Contea di Cariati, con i suoi fortilizi e le sue terre tra cui Rocca di Neto, da Ferdinando il Cattolico fu concessa a Giovambattista Spinelli.
Il 19 ottobre 1664 Rocca di Neto fu acquistata dalla Certosa di Santo Stefano del Bosco, che vendette parecchi suoi beni in altre grangie, per recuperare il capitale necessario. A Rocca di Neto, la Certosa di Santo Stefano del Bosco, sorta per opera di San Brunone di Colonia sul finire del secolo XI con ricche donazioni da parte dei primi Normanni, ebbe la sua sede in prossimità del Calvario, nella località denominata “Casino” (Via Rialto). La Camera Baronale di Rocca di Neto veniva, quindi, ad essere posseduta da un ente religioso che deteneva una proprietà fondiaria non indifferente. Nel 1783, per la soppressione del Monastero dei Certosini, il feudo di Rocca di Neto fu incorporato nel Regio Demanio.

Il 14 febbraio 1806 le truppe francesi occuparono Napoli e sul trono s’insediò il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte che trovò in Calabria le prime e più irriducibili resistenze. La corte borbonica tentò la riconquista del regno e la Calabria ritornò teatro della sanguinosa guerra tra Borboni e Francesi. Il 9 luglio del 1806 i Francesi occuparono Rocca di Neto che, come tanti altri centri della Calabria, si sollevò contro i nuovi conquistatori. Da ambo le parti, vi fu un conflitto efferato senza quartiere e con una violenza inaudita. La resistenza e l’ostilità dei Rocchitani determinarono, la mattina del 28 luglio 1806, un nuovo attacco da parte dell’esercito napoleonico, guidato dal generale Reynier. L’assedio provocò ingenti danni e numerosi incendi, saccheggi e fucilazioni. All’occupazione napoleonica seguì la repressione e, tra paura e delazioni, iniziò anche per Rocca di Neto “il decennio francese”. Il paese fu sottoposto alla presenza triennale di un presidio militare che, in caso di ribellione, infliggeva violenza e massacri all’infelice popolazione.
A migliorare le sorti dell’infelice popolazione non contribuì, nel 1815, il ritorno al governo dei Borboni che non modificarono la triste condizione delle plebi. I nuovi governanti si dimostravano indifferenti ai problemi esistenziali del popolo e cominciavano a trovare nella borghesia il loro migliore sostenitore.

Il 21 ottobre 1860 il plebiscito popolare per l’annessione al Regno d’Italia riceveva a Rocca Ferdinandea, come negli altri Comuni del Marchesato, un’adesione incondizionata e quasi unanime.

Iniziava così per il nostro paese, che nel 1861 contava 974 abitanti, la nuova fase storica nel processo unitario di formazione dello Stato Nazionale, avvenuta sotto il rigido controllo della vecchia classe dirigente abile nell’evitare novità e mutamenti nella gestione gerarchica del potere a livello locale.
L’attuale cittadina trae la sua origine da Rocca Ferdinandea, nata all’indomani del catastrofico fenomeno sismico avvenuto nel 1832. Riprende l’antico nome di Rocca di Neto dopo l’unità d’Italia nel 1861. Il centro abitato è arroccato sulla sommità di una formazione collinare con alcuni tratti molto ripidi e scoscesi, alla sinistra dell’ampio fondovalle a monte della confluenza del fiume Vitravo con il Neto. In origine il paese sorgeva più a Sud-Ovest nella contrada, ancora oggi, detta Rocca Vecchia. Tuttora, del vecchio centro abitato, rimangono soltanto delle suggestive grotte, insediamenti rupestri di origine magno-greca, scavate nella collina. Anticamente erano forse adibite ad abitazioni, come conferma la presenza di una cisterna ipogea coperta da una volta a botte, realizzata in muratura o a luogo di culto e di meditazione, come testimoniano i graffiti con croci, realizzati nell’ampia nicchia della parete di fondo di una grande grotta. Le grotte presentano una grande varietà di forme e sono distribuite su tre colline. Tra la collina centrale e l’ultima, in direzione Nord-Est, si scorge il canyon naturale, che si conserva secondo l’originario aspetto e mantiene, ancora, il lastricato della strada che vi s’incunea, presentando, al viaggiatore che arriva in questa zona, uno scenario molto suggestivo delle grotte che vi si affacciano. Sono stati realizzati interventi conservativi e lavori per la tutela e la valorizzazione delle Grotte Rupestri con l’intento di creare, nel Comune di Rocca di Neto, un Parco-Itinerario Archeologico dotato di tutte le caratteristiche richieste di convenienza, che lo rendono non solo proponibile, ma addirittura fondamentale per lo sviluppo turistico della fascia silana-ionica-crotonese.
Il paese è stato ricostruito, dove insiste attualmente, secondo i canoni urbanistici dell’epoca. Infatti, la zona ricostruita e più antica è collocata dove si trovano il Municipio e la Chiesa ed è evidente l’impianto urbanistico ottocentesco con un sistema viario che si articola per parallele ed ortogonali. La piazza del Centro Storico, che rappresenta il punto d’incontro della comunità, è il luogo in cui si svolgono le manifestazioni pubbliche a carattere sociale e religioso. Particolarmente ricca di storia e di antiche tradizioni, Rocca di Neto ha molto da offrire al visitatore che può inoltrarsi tra le colline che le fanno da corona. Qui, s’incontra una natura incontaminata, che invita a lunghe e salutari passeggiate ed a soste per poter consumare una colazione a sacco. A parte la buona produttività agricola della piana e le bellezze ambientali e paesaggistiche, interessante e particolare valore storico-culturale hanno le chiese antiche, le grotte rupestri e gli edifici di pregio che, con adeguati interventi di conservazione e valorizzazione, rappresentano una risorsa turistica ed un’opportunità unica per il paese. L’insediamento umano ha interessato soprattutto la zona collinare; in seguito quella piana estendendosi ulteriormente in piccoli agglomerati o case sparse su terreni bonificati e fertili.
Le caratteristiche orografiche e la presenza del fiume Neto hanno determinato lo sviluppo delle attività agricole. Infatti, nell’ultimo cinquantennio da un’economia feudale monoculturale (grano) si è passati ad un’economia prettamente intensiva. La Riforma Agraria, la diffusione dell’irrigazione, la pratica di nuove colture, gli allevamenti zootecnici, la creazione di nuove strade rotabili, l’apertura di varie aziende (agricoltura, allevamento del bestiame, trasformazione dei prodotti agricoli, quali uliveti e vigneti, trasformazione del latte, ecc.), la scomparsa della malaria, hanno consentito alla cittadina di migliorare notevolmente l’economia locale che ha subito una crescita alquanto significativa. Nonostante la notevole modernizzazione e industrializzazione dei processi di produzione, esistono ancora settori agricoli legati ad una produzione artigianale che mantiene vivi gli aspetti tipici della cultura contadina. Esistono infatti nel paese piccole industrie casearie di tipo artigianale che lavorano con arte e maestria il latte e i suoi derivati. Pertanto si può dire che l’economia di Rocca di Neto è a vocazione prettamente agricola. Infatti, cereali, colture ortofrutticole, distese di agrumeti, vigneti e uliveti si estendono sulle pianure di Rocca. Le risorse agricole hanno, quindi, favorito lo sviluppo di importanti iniziative industriali di trasformazione che hanno contribuito a migliorare notevolmente il tenore di vita. Esse sono presenti nel settore specifico del pomodoro (conservificio), dell’ulivo (oleificio) e dell’uva (frantoio). L’imprenditoria locale si è sviluppata nel settore specifico delle costruzioni (lavorazione degli inerti, marmifici, lavorazione dei tessuti e dei filati) e dei servizi (vetrerie, sartorie, infissi, falegnamerie e arredi).
Rocca di Neto ha una “fisionomia gastronomica” ben precisa per le tradizioni storiche che la legano all’arte culinaria della famiglia patriarcale contadina, caratterizzata dalla combinazione di semplici ingredienti e dai sapori forti e genuini nella scelta dei cibi. Le verdure sono da sempre protagoniste dell'alimentazione rocchitana: insieme alla pasta e a tutti i derivati del maiale costituiscono la base della cucina locale. La gastronomia rocchitana vanta, poi, una serie di dolci tipici, legati, per lo più, alle festività religiose e considerati come la pietra miliare della tradizione dolciaria. Da recente rilevazione è emerso uno sviluppo notevole del terziario legato in modo particolare alle attività di ristorazione e all’abbigliamento (ristoranti, pizzerie, negozi vari) con importante ricaduta economica sul territorio.

Si ringrazia Elena Spina Lombardi, autrice del libro "Rocca di Neto dalle origini a i giorni nostri” - Editore Mariano Spina, Grafica Florens San Giovanni in Fiore, Luglio 2010